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Il cammino evolutivo delle palindrome in gaelico

by Davide Carrozza

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Sipario 06:31
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about

DICONO DELL’ALBUM

“Ragazzi, mi sa che qua, se non risorgo...” (Gustav Mahler)

“L’ultimo album di Davide Carrozza si avventura in lande finora inesplorate dell’avanguardia glitch ambient house plunderphonica dai KLF in poi, passando per gli Oval, i Daft Punk revisionisti di Discovery e i Radiohead più d’oltranza di Amnesiac, con spruzzate di shoegaze alla Swervedriver, atmosfere Talk Talk anni ‘90, filosofia wittgensteiniana, barocchismo daliniano e un’ironia zappiana di grana Flaming Lips che non guasta i suoi pattern ritmico-contrappuntistici glass-nymaniani.” (Salvatore M., salumiere. Sconto sullo speck: donne, accorrete.)

“Non si sente una tale amalgama di generi, stili e codici dai tempi di Van Dyke Parks e Smile dei Beach Boys, senza contare Vampire Rodents e Sufjan Stevens.” (Marilyn F., batte il centro)

“Ma vi rendete conto? Quello ora è al settimo CD e io, che ci provo da anni e sono musicalmente più dotato e meritevole di lui, non ne ho fatto manco uno! Che schifo, io non lo so...” (Francesco Longo, "Italia di Metallo", 23 settembre 2012. Fatelo per me, producetegli un album.)

“Dai, ma l’hai fatto tu? Sul serio?! No, non ci credo, ma veramente?!” (Caterina Caselli)

“Oh, la vogliamo finire co’ ‘sto casino? Qui c’è gente che vuole dormire, spegni ‘sta merda!” (Sergio D., vicino di casa. Stavo ascoltando lo Stabat Mater di Pergolesi. Alle sei del pomeriggio. È ancora convinto che sia roba mia.)

“Musica veramente democratica, quasi universale, quella di Davide Carozza [sic], che mette d’accordo ascoltatori di tutti i ceti, dai palati più raffinati agli ascoltatori di musica meno ricercata, passando per i semplici curiosi di passaggio.” (Raffaele M., proprietario del bar vicino casa mia. Il sabato sera, prima di chiudere, diffonde a tutto volume musica da ballo latino-americana o brani poco noti di Santana o chi per lui, per un’oretta o giù di lì. Vorrei aggiungere: mortacci sua.)

“Eh, poteva pure chiamarmi, se gli serviva un batterista. Invece niente, vuol fare tutto da solo, non vuole nessuno. Che palle, però.” (Charlie Watts dei Rolling Stones, che sarebbe un po’ come dire Giovanni Storti senza baffi)

“Subito dopo aver ascoltato la promo su CD, ho deciso di darmi al lancio del disco.” (Dylan Armstrong, lanciatore di peso, che sarebbe un po’ come dire Jason Newsted pompato)

“Io, invece, mi sono dato al lancio del basso. Tanto...” (Jason Newsted)

“Eh, porco Dio, però un casco potevi pure farmelo mettere!” (Silvio Berlusconi)

“Fatemi capire: noi ci siamo sciolti e abbiamo permesso a fenomeni del genere di emergere e farsi strada? No, sentite, non ci sto, facciamo ‘sta reunion subito perché non è possibile andare avanti così.” (Flatula Lee Roth, cantante dei Tragic Mulatto)

“E mi sono pure dato alla pittura! Ma sono pirla forte o no?” (Captain Beefheart)

“Suonando del rock post-alternativo e chiamandolo riduttivamente avanguardia, Davide Carrozza ha fatto più che salvare un genere: l’ha salvato con nome.” (Massimo Santamicone, in arte Azael)

“E meno male che avevo detto che i Beatles... Famme sta’ zitto, va’, ch’è meglio.” (Piero Scaruffi)

“Eh, figurati io...” (Francesco Nunziata, ondarock.it)

“Ho capito, però io, quando ho detto ‘no’, non intendevo quello!” (Simon Cowell)

“Eh, figurati io...” (Mara Maionchi)

“Ma che cazzo me ne frega? Siete ignoranti. Per me è ‘forse’.” (Morgan, nuovo cantante degli Skiantos)

“Una post-retro-present-rottura di coglioni che non avete idea. Vi giuro, Béla Tarr pare un fratello Marx, a confronto.” (Simon Reynolds)

“Davide Carrozza è un patrimonio dell’umanità, una fonte d’ispirazione perpetua per quelli come me.” (Jandek)

“Nel contempo, mi si sono originati il terzo occhio e il terzo testicolo.” (Franco Battiato)

“Ucciderei per un disco così. No, aspetta...” (Bernard Cantat)

“Lo vedete il tizio in copertina, quello che fluttua a mezz’aria? All’inizio dovevo essere io, ripreso in primo piano e non di spalle. Poi ci hanno ripensato. E le occasioni si sprecano così. C’est la vie...” (Thomas Pynchon)

“Kim Gordon, torniamo insieme. / Non ti ricordi di quell’epoca che fu?” (Thurston Moore)

“Sì, sì, canta che ti passa. Diglielo pure tu, Steve.” (Kim Gordon)

“E che gli devo dire? La rivincita dei nerds, altezza mezza bellezza ma per l’altra metà la tua ex me la faccio io, In Utero l’ho prodotto io, Kim Gordon’s Panties l’ho scritta io... Scusa, amo’, mi passi il cherosene?” (Steve Albini)

“Ragazzi, mi sa che qua, se neanche io risorgo...” (Richard Strauss)



ALTRI ANCORA DICONO DELL’ALBUM

OK Davide, accetto la sfida. Lo ascolto tutto il tuo cazzo di disco e cercherò di trarne fuori il meglio non fosse altro che come dici, ci hai messo dieci anni a scriverlo e registrarlo. Questo è un non album in cui non c’è niente e quindi c’è tutto. Piaciuta la frase ad effetto Davide? Fa quasi dada vero? Il tuo disco a volte è bello, lo ammetto. Volevo buttarlo solo per il titolo ma no, a volte è bello. Un guazzabuglio di qualunque genere musicale: folk, industrial, metal, pop, elettronica, avanguardia terrificante che mi ha eccitato e fatto venire le palle alle caviglie sin dal primo brano, specialmente quando ripeti la stesso riff per 6 minuti o quando mescoli registrazioni da scarico del bagno con altre più sofisticate. La traccia 4 te la potevi risparmiare, quella dove fai uno zapping per le radio e mi fai sentire tutta la monnezza che ascolti in quattro minuti. Bella merda, anche il pezzo dopo fa schifo. Stavo per arrendermi ma poi arrivano i brani finali ed è tutto uno splendore, post rock etereo e soffuso, melodie belle tanto quanto una ‘Hoppipolla’ e il disco si conclude in maniera struggente e dolcissima. Voto cinque, specie al brano da 12 minuti e all’ultimo, chi non apprezza il tuo genio vada pure a cogliere le mele a Foggia anche se prima di assaporare questo disco bisogna espiare un po’ di pene. [*****] (Dante Natale, Nerds Attack!, 10 settembre 2012)

Che il sipario si alzi!
Ed è appunto “Sipario” la prima traccia che apre questo fantastico lavoro intriso di sperimentazioni sonore ai limiti del noise e dell’avantgarde. Se “Danza rituale sulle ceneri del Chihuahua” fosse stata inclusa in un film post apocalittico non ci sarebbe stato nulla di cui stupirsi…, le atmosfere alla Vangelis mescolate al rumorismo tipico di Thurston Moore ne fanno un pezzo che vi si stamperà nella mente in maniera indelebile! “Passo a due: John von Neumann e la Madonna di Chernobyl” sembra invece uscita da uno dei dischi prog anni ‘70 di Battiato o Alan Sorrenti (di cui vi consiglio vivamente di riscoprire i primi album). “Breve riassunto delle puttane precedenti” contiene invece campionamenti sparsi di mr Marshall Bruce Mathers III in arte Eminem (conosciuto anche con il nome stilizzato EMINƎM o con il suo alter ego Slim Shady), ma non preoccupatevi, a parte la base vocale non ha più nulla di rap anzi da 2:29 è addirittura ballabile!
“Interludio (Il pezzo trance può venirmi meglio)” è invece uno spartiacque presentando un po’ tutti gli elementi caratteristici di questo disco. “La passerella dei feti cianotici” (che titolo!) è invece la canzone probabilmente più complessa, alternando basso, vocalizzi e schitarrate alla Husker Du. Che dire invece delle chitarre hard che aprono “Una rosa sboccia nel Giardino del Giàsentito” unendosi a uno scratch da vinile degno del miglior DJ del mondo lasciando poi spazio ad atmosfere molto più leggere? Certamente una suite di quasi tredici minuti non è facile da gestire tuttavia l’impresa sembra davvero ben riuscita! Insomma siamo di fronte a un prodotto geniale tanto nella sua complessità quanto nella sua semplicità. “Crocefiggono un’escort a nero” e “L’escort si confessa al panda accanto” non fanno altro poi che continuare il discorso già appreso nella precedente traccia, lasciando il passo al gran finale, “Un’ultima nuotata e poi Sipario”. Occhio tuttavia a non abusare quindi de “Il Cammino Evolutivo delle Palindrome In Gaelico”, dà assuefazione all’ascoltatore! In assoluto i cinquantaquattro minuti migliori di post rock che io abbia mai sentito! Provocatore? Genio del copia e incolla? Di certo Davide Carrozza è un grande artista che ormai non deve più dimostrare nulla a nessuno e che attende solo di affermarsi al grande pubblico (e chissà che non porti una ventata di novità in quest’Italia musicale massacrata dalle TV e dalle radio). Voto: 5/5 (Marco Vittoria, Rockambula, 3 ottobre 2012)

Dite quello che volete, pensate ciò che vi pare, ma una cosa è certa, e i plurimi riascolti piacevolmente concessi a quest’ultimo album me lo confermano in tutta la sua evidenza; a discapito di ciò che può sembrare reale, il titolare del disco, Davide Carrozza (tra l’altro già menzionato su questi lidi) è tutt’altro che pazzo, oppure, se lo è, lo è a suo modo, con una lucidità e un controllo sui propri scatti di follia che non può che suscitare ammirazione. E quando la piena cognizione dei propri mezzi prende il sopravvento (se mai se ne fosse andata via, anche giusto per un momento), ecco che allora l’estro creativo del tenebroso napoletano si risveglia, e ne dice quattro.
A chi di preciso non importa, fatto sta che con “Il Cammino Evolutivo Delle Palindrome In Gaelico”, disco dal titolo volutamente errato per incuriosire, o eventualmente accigliare, potenziali ascoltatori dall’animo snob e paraculo, il Nostro si ridesta dai torpori degli ultimi tempi e pubblica, in maniera del tutto inaspettata, il suo settimo album, direttamente acquistabile dal suo profilo Bandcamp. Settimo album, ma in realtà si dovrebbe dire primo, vista la complessa e sofferta gestazione che ne ha preceduto il rilascio: inizialmente inteso come lavoro d’esordio, ha visto la luce soltanto dieci anni dal suo concepimento, galeotto un blocco nell’ispirazione che ha fatto sì il compositore si dedicasse a prove diverse, ma a tutti gli effetti carenti di quell’ambizione e coraggio che questa volta sono gli attori comprimari del progetto.
Se infatti le sue prove, specialmente le più recenti, tradivano, sotto l’impeccabile impianto formale, l’irrefrenabile impulso a derive drone non proprio esaltanti, invero un po’ annacquate (il guitar-solo dei 47 minuti di “Verso l’infinito e basta!” può prestarsi bene a quanto appena detto), nel nuovo lavoro si rende palese una netta inversione di tendenza, che predispone ad un ascolto più attento e ponderato, ma soprattutto, lascia tornare al ruolo di primattore l’immaginifica, e invero anche un po’ bistrattata, arte del campionamento.
Sì, è proprio quell’arte, che dai sublimi esperimenti “plunderphonici” di John Oswald e dai ritagli minimali dei Negativland si è poi evoluta ed è andata a contaminare i linguaggi più disparati, amoreggiando specialmente con le branche più sperimentali dell’hip-hop (DJ Shadow, gli Avalanches, arrivando anche alle più recenti scomposizioni e ricomposizioni del Flying Lotus di “Cosmogramma”), e acquisendo al contempo mille altri adepti, che siano cultori di certo pop collaterale (Solex) oppure fieri ricercatori contro tutto e tutti (i roditori vampiri di Daniel Vahnke).
Contro tutto e tutti procede lo stesso Carrozza, ma ancora una volta, lo fa a modo suo (il lettore ci scuserà per queste ripetizioni), senza porsi limiti di alcun tipo nel manipolare le più svariate fonti sonore, e combinarle con criteri audaci e singolari. Aldilà però dell’impostazione formale delle dieci tracce (definirle canzoni sarebbe errato e anche incongruente, specialmente per uno che ha sempre, e soprattutto, teso a travalicare il formato-canzone), ciò che affascina del nuovo disco, ben più che nei suoi trascorsi, è la straripante ironia che ne caratterizza lo sviluppo. Ironia, che a tratti si getta a braccia aperte nel sarcasmo, come ben sia evidenzia sin dai titoli, stralunati, paradossali, finanche esilaranti.
Perché la musica di Davide destabilizza certezze acquisite, ma non rinuncia assolutamente a divertire e a divertirsi: certo, è un divertimento cerebrale, a tratti proprio cervellotico, ma è figlio di una mentalità che non s’appaga con la trovata facile, che rovista ovunque e riesce a rendere perfino il trash-pop da ombrellone un esaltante e rinfrescante studio di decostruzione armonica. Si prenda il secondo brano, per esempio: il chihuahua del titolo è proprio quello sì, il fastidiosissimo e appiccicoso tormentone di quasi dieci anni fa, qui però talmente rimasticato e centrifugato da assumere le fattezze di un’impetuosa coda glitch, ben lontana dai tratti melodici originari.
Analogamente, ci ritroviamo l’Eminem di “Without Me” scagliato tra continui cambiamenti di finte stazioni radiofoniche, reso ancor più irriverente e parodistico dall’uso di basi che ne alterano completamente l’organizzazione, passando dal cabaret in salsa piano-bar all’astruso impiego della linea di sassofono del viral video “Epic Sax Guy” (“Breve riassunto delle puttane precedenti”). E se il nostro fa il (vero) modesto nel breve interludio che segue subito dopo, citando un monologo di Paolo Rossi, che in un secondo momento viene calato in un crepitante tessuto elettronico, sorprende continuamente la destrezza nel creare patchwork sonori iridescenti e dinamici, che anche a costo di qualche lungaggine di troppo, non vengono mai penalizzati nella loro impetuosa carica creativa.
Anche quando i toni si rilassano, e i samples passano in secondo piano (per quanto sempre appetitosi; si veda la filastrocca scurrile a chiusura di “Crocefiggono un’escort a nero”) favorendo la fioritura di più compatte, e talvolta paranoidi, linee chitarristiche (“Una rosa sboccia....”, lungo monolite prossimo a certo “dopo-rock” più sperimentale), è sempre marcata l’identità che muove le fila del discorso, infallibile la torre di controllo centrale che coordina il movimento di ogni singolo frammento sonoro.
Improbabile che si riescano a rintracciare veri e propri passi falsi; l’adozione di strutture più nitide, il contenimento dei passaggi più a vuoto, e la conseguente riduzione nel minutaggio per la maggior parte dei pezzi propende indubbiamente a favore non soltanto della qualità intrinseca, ma anche dell’assimilazione di un album non propriamente pop negli assunti. Eppure, il presentimento è quello di un artista che nasconde nelle sue maniche ben più di un asso.
Se nel triplo album al quale sta lavorando (come ha avuto modo di annunciare di recente) deciderà di affidarsi maggiormente al proprio istinto e scrollarsi di dosso un po’ di perfezionismo, allora assisteremo alla realizzazione di un’opera non soltanto importante, ma proprio imprescindibile, specialmente per un panorama musicale così desolante come quello italiano. Ora come ora, ci troviamo di fronte a un buon disco, prodigo di interessanti intuizioni.
Voto: 6,5 (Vassilios Karagiannis, OndaRock, 9 ottobre 2012)

Novello John Cage, oppure troll in grado di destabilizzare l’ascoltatore per il gusto di farlo? Nessuna delle due. E, in ogni caso, una non esclude l’altra. Davide Carrozza, napoletano, autore di dischi con titoli che sembrano partoriti da Lina Wertmüller in acido (“È inutile prendersela con le cooperative rosse se tuo cugino si è suicidato a testate contro la lavastoviglie”), ci propone un nuovo full length.
“Il cammino evolutivo delle palindrome in gaelico” si apre con “Sipario”, un sinistro crescendo di chitarra prima acustica e poi elettrica che ricorda i momenti strumentali dei Nine Inch Nails di “The Downward Spiral”. “Danza rituale sulle ceneri del Chihuahua” aggiunge al mood greve di organo, piano e carillon un po’ di sano noise mentre “Passo a due tra John von Neumann e la Madonna di Chernobyl” sarebbe potuta figurare come pezzo pazzo in un album minore degli Area. “Breve riassunto delle puttane precedenti” è un leak della traccia vocale di “Without me” di Eminem con l’aggiunta di un sacco di basi improbabili appiccicate.
Arriva poi il momento del reggae ambient (“Crocifiggono un’escort a nero”), con tanto di seguito bucolico, per finire con “Un’ultima nuotata e poi Sipario”. Quest’ultimo è un signor pezzo, una suite semplice e malinconica di chitarre folk che fa intuire quanto Davide potrebbe essere un musicista di quelli bravi, se solo mettesse dei paletti alla propria immaginazione ludica. Un album che vale un ascolto se siete in vena di farvi un viaggio dentro la mente di qualcuno, dentro un concept incomprensibile ai più, composto da alcuni pezzi validi e altri da saltare. (Simone Stefanini, RockIt, 16 ottobre 2012)

Approcciarsi ad un lavoro di Davide Carrozza è difficile: abituato ai lavori precedenti ero pronto a trovarmi di fronte l’ennesimo mastodontico collage di suoni, idee e schizofrenia, più un divertissement che un lavoro vero e proprio, nel senso “classico”. Cosa che invece è questo ultimo lavoro, solido nonostante l’eterogeneità della proposta, capace di spaziare sia nei generi che nei metodi compositivi, ironico nel contenuto e nella forma dei titoli dei brani. In apertura e in chiusura doppia coppia di brani essenzialmente di sapore acustico: il leggero arpeggiato con distorsioni secche di “Sipario”, il lento folk de “L’escort si confessa al panda accanto”, lo speculare del sipario finale con chiusura in rumore bianco. Unica eccezione: un “chihuahua” loopato e pitchato a cazzo a conclusione della varia “Danza rituale sulle ceneri del chihuahua”, agglomerato di lisergia organistica, pianoforte lento e grattugi di chitarra. Oltre alle delicatezze c’è anche il tempo di presentare della vera e propria avanguardia sonora con titolo ironico: “Una rosa sboccia nel Giardino del Giàsentito” parte come un passaggio armonico di arpeggi su base da scratch industriali, evolvendosi in sinfonie di archi ariosi e tessuti lisergici di scuola GY!BE, mentre “Passo a due” è una stratificazione di tarantelle di chitarre con gain appalla. Anche sul lato più elettronico imbocchiamo diverse derive di genere: la lisergia trance sparata del breve “Interludio”, il rap su base glitch techno de “La passerella dei feti cianotici”, il sapore funky di “Crocefiggono un’escort a nero” concludente in post rock con stornello volgare. Il vero killer tuttavia è il pezzo “mash-up”, “Breve riassunto delle puttane precedenti”: più che stupire con una ricerca armonica dell’accostamento, Carrozza mescola la traccia vocale di “Without Me” di Eminem in un crescendo di cazzonaggine, prima con sinfonia ariosa, poi piano ragtime e sul finire il DEVASTANTE loop dell’Epic Sax Guy, con un effetto che manderebbe in pista a grondare sudore pure il reparto rianimazione di una casa di cura per anziani. Per quanto i momenti più genuinamente acustici sembrino più dei riempitivi rispetto alla dirompenza di quelli più glitch, post-rock e campionati, il risultato finale è comunque più che buono, dovuto anche al fatto di trovarci di fronte ad un disco possedente dei momenti di maturità compositiva da estrapolare e su cui magari lavorare in futuro.
Voto: 7,5 (Matteo “MatteoRed” Bianchini, RateYourMusic, 3 novembre 2012)

Sentiti i pezzi e poi letto il comunicato, Davide Carrozza è un pazzo furioso. Ed è per questo che mi piace! Lui sostiene di averci messo dieci (10!!!) anni per finire l’opera, io gli rispondo di averci messo quasi lo stesso tempo per recensirla. Il primo ascolto è stato terrificante, mi veniva quasi da vomitare ed ho supplicato il titolare di Ondalternativa di togliermi l’incarico. Non ne ha voluto sapere e dopo aver ricevuto le dovute minacce dal network, mi sono deciso. Passato l’istinto suicida dato dal primo ascolto è successo qualcosa. Ho rimesso su le dieci “parolacce” di Davide Carrozza, ho iniziato a cercare di capire, ho liberato la mente dai preconcetti che, stupidamente, mi ero posto. Ascolto, ascolto, ascolto e l’orecchio si abitua al casino che viene fuori dalle casse, và a cercare i suoni più irritanti che prima ricacciava via.
Non farò la classica recensione, traccia per traccia, né assegnerò il famosissimo ed ambitissimo premio “Traccia del Disco” perché sarebbe fuori luogo, un po’ come mettere un Barolo in un bicchiere di plastica. È un insieme di suoni campionati, sventrati, accoppiati, levigati, sventrati, plasmati, strappati e ricuciti con incredibile precisione e attenta coscienza. Non è stato un lavoro semplice, e forse capisco perché ha avuto un blocco così lungo durante la gestazione del proprio primo album. Immagino nottate massacranti passate davanti al pc, cercando di capire come cambiare strada, dove metterci qualcosa di “proprio” in senso stretto e dove invece farsi beffa dell’ascoltatore. Non conosco quei termini fantastici che altri recensori utilizzano (ed ho dovuto leggerne parecchie per capire come fare questo “lavoro”), ma dal mio orecchio contadino e cervello sottoutilizzato sono arrivato al punto. Eureka! “Il Cammino Evolutivo delle Palindrome in Gaelico” è suono e il contrario di esso, è Davide contro Golia, è uno sfigato in palestra, è l’arte dell’arrangiarsi senza perdere dignità, è la dimostrazione che il volere domina il potere, è l’abbattimento di un muro, è il decespugliatore in giardino, è una birra all’Enoteca, un fighetto al concerto dei Posse.. è una presa per il culo organizzata con maniacale puntualità, è un missaggio di ironia e passione che dà vita al crimine perfetto, portare idee nuove al mercato musicale italico.
L’unico appunto che mi sento di fare al nostro compositore/musicista/tecnico è molto semplice, esci dalla stanza e porta in giro sta roba! Non puoi pretendere che la gente si abitui a qualcosa di nuovo se non gliela porti sotto casa (o nel locale più vicino...).
Voto: 4/5 (Sante Selicato, Ondalternativa, 18 novembre 2012)

“Ragazzi, mi sa che qua, se non risorgo...” (Gustav Mahler)
Sulle nostre pagine abbiamo già recensito del materiale di Davide Carrozza e più precisamente qui. Il nuovo lavoro – il settimo autografo – chiamato Il Cammino Evolutivo Delle Palindrome In Gaelico, pur spiazzando per la varietà di soluzioni sonore proposte, presenta una sorta di “normalizzazione” musicale (il virgolettato è d’obbligo considerato che con Carrozza non si può assolutamente parlare di dischi facilmente assimilabili) che giova non poco alla godibilità finale del prodotto.
Il disco in questione, a detta dello stesso Carrozza sarebbe dovuto essere il primo della propria carriera di musicista (con quel suo titolo non sense volutamente snob-intellettuale); nella realtà dei fatti è stato rinviato di continuo – sembra da almeno dieci anni – a causa del perfezionismo che contraddistingue il suo autore. Si tratta di un puzzle di intuizioni che rappresentano le diverse anime di Carrozza (espresse in dettaglio nei precedenti album) e quindi ritroviamo tracce collage, come se si trattasse di zapping radiofonico, molto campionamento – anche più del previsto, vengono rimanipolati e centrifugati tra gli altri Dj Bobo, Eminem, Daft Punk e Aphex Twin – e chitarrismi in salsa “post” a go go. Il tutto però risulta essere pienamente a fuoco e dosato con misura, come se vi fosse una maggiore consapevolezza delle proprie capacità tecnico-compositive. Epurato dalle lungosità satirico-avanguardistiche che avevano reso i precedenti lavori di difficilissima fruizione, l’album rappresenta null’altro se non l’estro creativo di Davide Carrozza al 100%; sembra che il prossimo lavoro debba essere un triplo disco, non c’è di che aspettare e sperare che le coordinate musicale sino simili a questo “primo” autentico frutto maturo del musicista campano.
“Lo vedete il tizio in copertina, quello che fluttua a mezz’aria? All’inizio dovevo essere io, ripreso in primo piano e non di spalle. Poi ci hanno ripensato. E le occasioni si sprecano così. C’est la vie...” (Thomas Pynchon).
N.B. in premessa ed in chiusura dell’articolo abbiamo scelto di riportare due citazioni inventate dallo stesso Carrozza e riportate sul comunicato stampa ufficiale che ha accompagnato l’uscita dell’album. Ci piace pensare all’autore proprio come ad un connubio improbabile tra l’ordine di Mahler e la follia di Pynchon, magari con l’aggiunta di un pizzico di Godspeed You! Black Emperor.
(Maurizio Narciso, Shiver Webzine, 21 novembre 2012)

L’ultimo album del napoletano Davide Carrozza è un avventuroso viaggio nell’avanguardia e nel caos musicale, geniale tormento dell’anima, fuori da ogni consuetudine.

Ascoltando l’album mi son chiesta: “perché?”. Come quando, visionando le opere di una mostra d’arte contemporanea, non esiste un significato preciso ma un’espressione, una comunicazione. Comprendere a volte è difficile, molto più semplice classificare: Davide Carrozza esula da qualsiasi classificazione e ne sono compiaciuta. L’artista crea d’istinto ascoltando il suo estro, e non per essere sempre leggibile e commerciale.
L’ultimo album di Davide Carrozza è un avventuroso viaggio nell’avanguardia “glitch ambient house plunderphonica”, Daft Punk assaggi di shoegaze alla Swervedriver, atmosfere Talk Talk anni ‘90, filosofia wittgensteiniana, barocchismo daliniano, ironia zappiana, Flaming Lips e la rabbia di Eminem.
Scrive Davide: Ringrazio tutti quelli che sono riusciti a leggere fin qui, tutti quelli che mi hanno seguito fin qui, tutti quelli che mi han recensito fin qui, l’amici der baretto, mi’ cuggino Arfonso, mi’ moje Germana, l’amici mia a Rebibbia, Gionni Pajata dar Tufello...
Doveroso ascoltarlo.

Genere: Sperimentale, Indie, Alternativo
Voto: 7/10
Ascolta anche: Van Dyke Parks
(Tiziana Tesio, SaltinAria.it, 7 dicembre 2012)

Per diana, che diavolo è questa roba? Dentro il nostro stivale una mosca che facesse questo rumore non c’era mai entrata. Ronzii avanguardastici, campionamenti, mash-up, frullati sonori, patchwork musicali intermittenze interferenze rumoristiche sperimentazione nonsensica illimitata. Ma con ordine, presentiamo l’impresentabile.
Questo (s)compositore campano, qui al settimo molto poco “compact” disc, risponde al nome di Davide Carrozza (non provate a chiedergli che musica fa, ma almeno a un basico come-ti-chiami dovrà pur rispondere). Stiamo parlando di uno che ama suscitare una certa ilarità prima di tutto con “titoli che sembrano partoriti da Lina Wertmüller in acido” (Simone Stefanini - Rockit): ha fatto uscire un album siglato È inutile prendersela con le cooperative rosse se tuo cugino si è suicidato a testate contro la lavastoviglie, contenente pezzi tipo Volete tutta la verità o che vi ripavimenti casa? o ancora 96 motivi per cui non sono nato a Predappio, roba che neanche Rosario Fiorello quando faceva il verso ai titoli d’essai di Nanni Moretti… ed è uno che ha pubblicato un album chiamato Verso l’infinito e basta! con un unico omonimo pezzo strumentale di chitarra da 47 minuti primi e 36 secondi. Cos’altro vi aspettate?
Ne Il cammino evolutivo delle palindrome in gaelico i pezzi sono dieci e i nomi non deludono i già citati; sono pezzi kebab, c’è dentro di tutto. Si apre – giustamente – con Sipario, poche note di chitarra ripetute per oltre 6 minuti; segue il ritmo macabro stile Mike Oldfield di Danza rituale sulle ceneri del Chihuahua e il puro loop di Passo a due: John von Neumann [importante matematico ungherese, ma come capirete non ha nessuna rilevanza, ndr] e la Madonna di Chernobyl. Il top si raggiunge con Breve riassunto delle puttane precedenti, in cui viene campionato l’Eminem di Without me mentre sotto scivola ogni cosa, dai Foo Fighters di Best of you al famigerato stacco di sassofono di Run Away dei SunStroke Project, quello del video virale Epic Sax Guy per intenderci, un must dell’ultima dance. C’è tanto di un Interludio (Il pezzo trance può venirmi meglio) che si apre con stralcioni di un monologo di Paolo Rossi sulla Lega; si campiona anche Erik Satie nel plunderphonics di La passerella dei feti cianotici. Diciamolo, questo di Davide Carrozza è un lavoro ingiudicabile, ma di una cosa siamo sicuri: i quasi tredici minuti di Una rosa sboccia nel Giardino del Giàsentito, col loro scratching su cui si innesta una splendida suite postrock, ci hanno emozionato, ci sono sembrati un manifesto di bellissimo e inaspettato romanticismo, dietro e dentro il rumore del vissuto più stridente; fino a farci venire il sospetto che ci sia più dell’ironia in questa operazione, che si vada oltre il gioco della provocazione avanguardistica, come le ultime traccie “serie” sembrano star lì a suggerire. Ma allora, a volerlo prendere sul serio, questo disco non risulta sopra la sufficienza, incapace, per non saperli portare a maturazione, di raccogliere i frutti del proprio mestiere. E d’altro canto l’ironia, concepita ed esercitata come operazione intellettuale, è ancora istinto di conservazione, lontana, in altre parole, dall’essere concretamente coinvolta nel processo creativo allo scopo di dire qualcosa di nuovo. Voto: 5 (Fabrizio Papitto, Beautiful Freaks, 26 novembre 2012)



ORA DICO IO DELL’ALBUM

Questo è il primo comunicato stampa che faccio in vita mia. Siate clementi.

Dall’inizio della lavorazione alla pubblicazione di quest’album sono passati dieci (avete letto bene: 10) anni. Questo avrebbe dovuto essere il mio primo album in assoluto, ma impegni più importanti, scarsa esperienza, limitatezza di mezzi, urgenze d’altro tipo e cazzi vari à la “arrivato qua, come vado avanti?” hanno fatto sì che la prima uscita fosse un relativamente meno ambizioso KJW2137, nonostante avessi promesso altro a chi aveva ascoltato in anteprima l’inizio dell’album, progettato in un primo tempo per essere un balletto e recante ancora oggi il sinceramente orrendo titolo originario, motivato da due fatti: reputai necessario attaccarmi a una fanbase scelta con precisione per cominciare a farmi un nome e ingenuamente ritenni saggio partire da quei sostenitori più colti e snob di Franco Battiato o Brian Eno – ‘cazzo ne so? – che avrebbero trovato un senso compiuto in parole auliche e altisonanti che messe assieme magari suonavano bene e basta, facendomi fare quella bella figura che in fondo non merito. A quanto pare, questa prerogativa è estendibile anche ad ascoltatori meno eruditi: in fondo, la stupidità non ha una sua cultura. Ed è sempre meglio la vera scostumatezza che la falsa nobiltà. Anche le descrizioni – più che titoli – dei movimenti sono rimasti quelli originari, tanto per andare in culo agli apologeti della musica a programma, come ho tentato altre volte di fare. Sì, cari i miei musicoterapeuti: sono dalla parte di Stravinskij, io.

Arrivati a questo punto, come possiamo definire un’iniziativa del genere? Un tentativo di tirare le somme? Non sono così nostalgico. Se poi volevo veramente farlo, assemblavo un “greatest hits”. E vuoi perché la durata dei miei pezzi non lo rende possibile, vuoi perché non ho proprio successi da presentare, vuoi perché sono contrarissimo, vuoi cento euro?, non lo farò MAI.
Una raccolta di scarti aggregati alla bell’e meglio? Scarti? Bell’e meglio?! E secondo voi ci mettevo dieci anni? Due cose sono sicure: 1) quando inizio una cosa mi piace anche finirla, qualunque essa sia e qualunque difficoltà comporti; 2) almeno, per terminare questa, non ho impiegato 37 anni come altri veri eroi ai quali è obbligatorio dare subito una medaglia al valore. Obama, ségnati questi due nomi: Brian Wilson e William Vollmann. Hollande, ho un messaggio anche per te: cerca di fare di più per Ferdinand Cheval.

Non chiedetemi perché, ma siccome fin qui qualcuno avrà sicuramente pensato: “Ma guarda ‘sto figlio di puttana, che presunzione!”, non mi metterò certo a fare il figlio di Aureliano Buendìa per dire l’opposto e andargli contro. Anzi sì, così non gli do neanche il tempo di propormi la sfida, perché magari si chiede pure come faccio, avendo letto in vita sua sì e no due libri. Di religione. E di psicologia. A fumetti.

Il cammino evolutivo delle palindrome in gaelico è stato commissionato dal misterioso Davide Carrozza (che in questo disco suona le tastiere) all’invisibile compositore Davide Carrozza, che ha poi sottoposto la sua opera al riservatissimo Davide Carrozza (che suona le chitarre), all’ancora più latitante Davide Carrozza (che qui si occupa dei campioni e del missaggio) e a Piersilvio Maloogaloogaloogaloogalooga (pseudonimo dell’oscuro bassista Davide Carrozza), che compare per la prima volta su un disco. L’ensemble ha accettato di buon grado i suggerimenti del criptico produttore Davide Carrozza, che ha anche offerto camera sua e il suo computer per la registrazione dell’album, coadiuvata da un meticoloso e impalpabile ingegnere del suono come Davide Carrozza. “Ma parli del chitarrista?”
“No, quello è Davide. Tu forse parli di Davide.”
“Il tastierista?”
“No, stai confondendo Davide e Davide. Io parlavo di Davide, non di quell’altro Davide.”
“Ah, Piersilvio!”
“No, quello è Davide! Quello che sto dicendo io è un altro Davide ancora, non suona niente. A proposito, come hai detto di chiamarti?”
“Lorella.”
“OK, Lorella, facciamo una cosa: io finisco di scrivere qui e tu magari mi aspetti di là.”
“Di là? Sul lettone di Thom Yorke?”
“Ecco, lì va benissimo. Finisco qui e arrivo, eh? Ci metto poco.”
(...che poi ho detto una cazzata perché i figli di Aureliano Buendìa si chiamavano tutti Aureliano, ma avevano il cognome della madre. Ma l’importante è che ci siamo capiti.)

Il cammino evolutivo delle palindrome in gaelico sarà presto scaricabile dal mio profilo su Bandcamp, ma non è esclusa un’edizione su CD in 300 copie appena si presenterà la possibilità, cioè quando avrete comprato qualche altra copia dei miei album precedenti o, sfruttata la possibilità di prenotare la propria copia sempre su Bandcamp, saranno state prenotate almeno 60 copie. Che cazzo, non è che uno perde tempo e soldi così-tanto-per e poi gli rimangono ancora gli scatoloni pieni a prendere spazio, non trovate? È triste dover ammettere i rischi che si corrono quando si stampano CD da spedire in negozi sparsi per tutt’Italia, aggiungiamo che la pubblicità non è molta, non faccio concerti e la frittata è fatta; oltretutto, sono cosciente del fatto che il CD come medium sta cedendo il posto ai vari discutibili formati compressi digitali facilmente rintracciabili su internet, ma come la mettiamo, per quanto riguarda la fruizione? Provate voi, sui vostri lettori MP3 economici, ad ascoltare Absolutely Free di Frank Zappa o The Dark Side Of The Moon dei Pink Floyd senza salti o pause, una traccia dopo l’altra. Non ci riuscite, vero? Vi dà ai nervi, eh? Allora come farete, voi perfezionisti in minoranza, con quest’album? Oddio, potrebbe servirvi il CD! E procuratevelo, tanto il lettore ce l’avete, non mi prendete per il culo. Magari avete anche un bel giradischi e una bella collezione di vinili, ma io, di vinili, non ne faccio stampare ora, né lo farò in futuro. Il vinile rimane qualitativamente il supporto fonografico migliore al mondo, non c’è niente da fare, o almeno dicono così, anche se non ci credo; tengo però più alla buona fruizione dell’opera che alla qualità del supporto: sono cresciuto con le musicassette, io. Poi, cazzo, il vinile costerà un botto...

Dati tutti questi presupposti, immaginate voi cosa succederà quando uscirà l’album successivo. Sì, perché sto lavorando a un triplo CD, intitolato I Hate Myself And Want To Dadaumpa, che – indovinate un po’... – ho promesso tempo fa, ancora non ho terminato e ne avrò per un altro bel po’. E se questo, all’inizio, non lo rilascio in digitale, che faccio? Scegliete voi: il turnista per Vasco (avete capito bene: Brondi), Luciano (avete capito bene: Onder), la Pausini o gli Amici di Maria? Cioè: il suicidio, la morte prematura per overdose o per mano della gang avversaria ha funzionato con un sacco di gente, ma vorrei finanziarmi in un altro modo.

E poi sto scrivendo un romanzo. E ‘sti cazzi.

E poi siamo arrivati a sei pagine e se la finiamo è meglio. Ringrazio tutti quelli che sono riusciti a leggere fin qui, tutti quelli che mi hanno seguito fin qui, tutti quelli che mi han recensito fin qui, l’amici der baretto, mi’ cuggino Arfonso, mi’ moje Germana, l’amici mia a Rebibbia, Gionni Pajata dar Tufello e tutti quelli che, a sette anni dal mio esordio, ancora non si sono scusati per il ritardo. E complimenti per la trasmissione.

Luca Ward mi aiuterà a chiudere il comunicato: “Il cammino evolutivo delle palindrome in gaelico. Scaricabile questo mese. Perché adesso basta.”



EPILOGO

Mi piace il napalm di mattina. Berlo.

credits

released August 15, 2012

Ogni responsabilità in merito a quest'album è assunta da Davide Carrozza

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